Il contratto collettivo nazionale del lavoro domestico

AG Servizi
32 min readOct 17, 2020

Il lavoro domestico è disciplinato dalla L. n. 339/1958 la quale però fissa solo alcune disposizioni sul collocamento, sul periodo di prova, sul riposo, le ferie e l’indennità di anzianità.

Per tutto il resto, le regole sono contenute nei contratti di categoria, di cui l’ultimo è stato sottoscritto l’8 Settembre 2020, in vigore dal 1° Ottobre 2020 al 31 Dicembre 2022. E’ utile precisare che anche se il contratto si applica solo ai datori di lavoro iscritti alle organizzazioni di categoria che l’hanno sottoscritto, è bene si faccia sempre riferimento all’accordo collettivo, poiché a quest’ultimo normalmente il giudice guarda in caso di controversie, specie in tema di trattamento economico.

Ecco, seguendo proprio ciò che prevede il contratto collettivo di lavoro, tutto quello che c’è da sapere per essere in regola con il proprio lavoratore domestico.

Il contratto di lavoro

E’ buona norma, anche se non esiste al riguardo alcun obbligo di legge, ufficializzare l’inizio del rapporto di lavoro con una lettera di assunzione, in grado di mettere entrambe le parti al sicuro da sgradevoli sorprese.

Il documento, che è previsto dal Contratto nazionale di categoria e che non deve essere in contrasto con le disposizioni di legge, dovrà contenere:

  • la data di inizio del rapporto di lavoro;
  • l’eventuale data di cessazione se è un contratto a termine;
  • livello di appartenenza, mansione;
  • la categoria in cui viene assunta la lavoratrice e la sua anzianità di servizio;
  • la durata del periodo di prova;
  • la retribuzione pattuita e l’orario in cui si articola la prestazione di lavoro;
  • il giorno del riposo settimanale se la colf presta servizio ad orario intero;
  • esistenza o meno della convivenza;
  • le condizioni del vitto e dell’alloggio.

Una volta sottoscritto in due copie, il contratto andrà conservato sia dal datore di lavoro che dal lavoratore.

Il contratto non deve essere registrato: l’unico adempimento per il datore è quello di comunicare all’Inps l’assunzione. Questa operazione deve essere svolta necessariamente nelle 24 ore che precedono l’inizio dell’attività stessa.

Per farlo serve lo SPID (è la cosiddetta identità digitale) o il PIN personale, sia che la denuncia sia presentata telematicamente, che attraverso il contact center. Se, invece, non si è in possesso né dello SPID né del PIN ci si può rivolgere alle associazioni di categoria o ai consulenti del lavoro.

Questo contratto può essere concluso soltanto tra persone fisiche. Il datore di lavoro, infatti, può essere solo un soggetto privato, così come il dipendente. Il collaboratore potrà lavorare presso l’abitazione del datore o dei suoi familiari stretti (es. una badante che lavora in casa dei genitori). Il collaboratore può vivere nella casa del datore di lavoro (convivente) oppure recarsi nella sua casa solo per lavorare (non convivente).

Assunzione a tempo determinato

L’assunzione del lavoratore domestico può essere a tempo determinato con una scadenza prestabilita (es. un’infermiera per la durata della convalescenza di un familiare) oppure a tempo indeterminato (es. un addetto alle pulizie). In quest’ultimo caso le parti potranno recedere in ogni momento, rispettando il periodo di preavviso.

L’assunzione può effettuarsi a tempo determinato, nel rispetto della normativa vigente, obbligatoriamente in forma scritta, con scambio tra le parti della relativa lettera, nella quale devono essere specificate le fattispecie giustificatrici. La forma scritta non è necessaria se la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non è superiore a 12 giorni calendario.

Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 24 mesi. In questi casi si possono effettuare fino a quattro proroghe a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato; la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere comunque superiore, compresa la eventuale proroga, ai 24 mesi.

Nei contratti a tempo determinato di durata superiore ai 12 mesi è necessario l’inserimento della causale.

Part-time o tempo pieno

Inoltre, il contratto può essere a tempo pieno (con durata pari a 40 ore settimanali) o part-time/a ore (se di durata inferiore).

Le esigenze familiari alla base del contratto

Questo contratto può essere usato solo per esigenze familiari. In tutti gli altri casi, sarà necessario utilizzare il contratto di lavoro per dipendenti. Ad esempio, se il datore di lavoro assume il dipendente per svolgere mansioni nell’ambito della sua attività imprenditoriale (es. addetto alla pulizia di uno stabile o di un ufficio) non potrà utilizzare il contratto di lavoro domestico.

Il lavoro ripartito

La normativa sul diritto del lavoro e il contratto collettivo di categoria consentono l’assunzione di due lavoratori che si prendono insieme la responsabilità di adempiere un’unica attività lavorativa (il termine tecnico è “lavoro ripartito” o “job sharing”).

In questo tipo di contratto, ciascuno dei due lavoratori è personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa.

L’assunzione di lavoro ripartito deve essere obbligatoriamente in forma scritta, con scambio tra le parti della relativa lettera di assunzione, nella quale dovranno essere indicati:

  • il trattamento economico spettante a ciascun lavoratore coobbligato; 
  • le condizioni di lavoro spettanti a ciascun lavoratore coobbligato; 
  • la misura percentuale dell’attività che ciascun lavoratore coobbligato intende svolgere; 
  • la distribuzione dell’orario di lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale previsto per ciascun lavoratore coobbligato.

Salvo diverse intese fra le parti, i due lavoratori coobbligati potranno determinare, discrezionalmente ed in qualsiasi momento, sostituzioni fra di loro, nonché modificare i rispettivi orari o turni di lavoro.

Se esiste un accordo tra i due lavoratori in tal senso, la responsabilità per eventuali inadempimenti è in capo al lavoratore che ha accettato la sostituzione/modifica di orario.

Il trattamento economico e le condizioni di lavoro di ciascuno dei due lavoratori sono suddivisi fra i due lavoratori in proporzione alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita da ciascun lavoratore.

Eventuali sostituzioni da parte di terzi, nel caso di impossibilità di uno o di entrambi i lavoratori coobbligati, sono vietate.

Le dimissioni o il licenziamento di uno dei lavoratori coobbligati comportano l’estinzione dell’intero contratto di lavoro.

L’inquadramento

Nella dizione “lavoratore domestico” la legge include non solo le tradizionali “colf”, ma tutti quei lavoratori che “prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare”.

Rientrano, quindi, in questa categoria anche quei lavoratori come i cuochi, gli autisti, le dame di compagnia e le bambinaie e così via.

La tipologia del lavoro domestico è così particolare che il contratto di categoria vigente prevede che l’inquadramento di questa categoria di lavoratori, a seconda del titolo di studio o della professionalità posseduta, avvenga in quattro distinte qualifiche. a ciascuna delle quali corrispondono due parametri retributivi (uno normale e l’altro super).

Ecco i livelli:

LIVELLO A

Secondo il CCNL appartengono a questo livello i collaboratori familiari generici, non addetti all’assistenza di persone, sprovvisti di esperienza professionale o con esperienza professionale (maturata anche presso datori di lavoro diversi) non superiore a 12 mesi, nonché i lavoratori che, in possesso della necessaria esperienza, svolgono con competenza le proprie mansioni, relative ai profili lavorativi indicati, a livello esecutivo e sotto il diretto controllo del datore di lavoro.

Profili:

  • Collaboratore familiare con meno di 12 mesi di esperienza professionale, non addetto all’assistenza di persone.
  • Addetto alle pulizie, ossia colui che svolge esclusivamente mansioni relative alla pulizia della casa;
  • Addetto alla pulizia ed annaffiatura delle aree verdi.

LIVELLO A super

Profili:

  • Addetto alla compagnia, ossia quella persona che svolge esclusivamente mansioni di mera compagnia a persone autosufficienti, senza effettuare alcuna prestazione di lavoro;
  • Babysitter, ossia chi svolge mansioni occasionali e/o saltuarie di vigilanza di bambini in occasione di assenze dei familiari, con esclusione di qualsiasi prestazione di cura.

LIVELLO B

Appartengono a questo livello i collaboratori familiari che, in possesso della necessaria esperienza, svolgono con specifica competenza le proprie mansioni, ancorché a livello esecutivo.

Profili:

  • Collaboratore generico polifunzionale;
  • Custode di abitazione privata.
  • Giardiniere.

LIVELLO B super

Profilo:

  • Assistente familiare che assiste persone autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti;
  • Assistente familiare che assiste bambini (baby sitter), ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.

LIVELLO C

Appartengono a questo livello i collaboratori familiari che, in possesso di specifiche conoscenze di base, sia teoriche che tecniche, relative allo svolgimento dei compiti assegnati, operano con totale autonomia e responsabilità.

Profilo:

  • Cuoco.

LIVELLO C super

Profilo:

  • Assistente a persone non autosufficienti (non formato). Un esempio classico è quello della badante. Svolge, all’interno della casa, mansioni di assistenza a persone non autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.

LIVELLO D

Appartengono a questo livello, secondo il CCNL, i collaboratori familiari che, in possesso dei necessari requisiti professionali, ricoprono specifiche posizioni di lavoro caratterizzate da responsabilità, autonomia decisionale e/o coordinamento.

Profili:

  • Amministratore dei beni di famiglia;
  • Maggiordomo;
  • Governante;
  • Capo cuoco e capo giardiniere.;
  • Istitutore.

LIVELLO D super

  • Assistente a persone non autosufficienti (formato). Svolge mansioni di assistenza a persone non autosufficienti, ivi comprese, se richieste, le attività connesse alle esigenze del vitto e della pulizia della casa ove vivono gli assistiti.

Il contratto di categoria prevede, poi, un’altra figura professionale che va incontro alle esigenze delle famiglie in cui ci sono bambini piccoli o anziani: quella della lavoratrice domestica “addetta esclusivamente alle prestazioni d’attesa durante le ore notturno”. Si tratta, in pratica di una lavoratrice domestica senza alcuna preparazione infermieristica, che garantisce dalle otto di sera di sera alle otto del mattino successivo, la presenza in casa di un adulto in grado di intervenire, in caso di bisogno, per eventuali emergenze.

In considerazione del fatto che sono pochi i casi in cui si ricorre per i bisogni della propria famiglia a figure così professionalizzate, ci occuperemo principalmente delle tradizionali “colf” e “badanti”.

I rapporti di lavoro che queste ultime instaurano con il proprio datore di lavoro sono generalmente di tre tipi:

a) Colf a servizio intero. È il caso che si verifica quando la lavoratrice domestica abita presso il datore di lavoro, usufruendo, oltre che della retribuzione, del vitto e dell’alloggio. Fino a qualche anno fa, nella società moderna, fatta, sempre più spesso, di nuclei familiari composti di una o due persone che abitano in appartamenti molto piccoli, questa era una figura sempre più rara. Da qualche anno, invece, la necessità di fornire agli anziani che vivono soli un’assistenza continuativa, richiede sempre più spesso la lavoratrice domestica ad orario intero (quella che con un orrido neologismo è definita “badante”)

b) Colf a mezzo servizio. Fanno parte di questa categoria quelle lavoratrici che prestano presso la stessa famiglia servizio per almeno 4 ore al giorno o per 24 ore settimanali, se il servizio non è uniforme in tutti i giorni della settimana.

c) Colf ad ore. Rientrano in questa fattispecie le colf che prestano la propria opera in famiglia solo per alcuni giorni alla settimana, e con un orario inferiore alla 24 ore settimanali.

I minimi salariali

Come ogni contratto che si rispetti anche quello delle colf prevede dei minimi salariali validi sia per le lavoratrici domestiche a servizio intero sia per quelle che lavorano ad ora.

Anche se si tratta di valori del tutto teorici in quanto la legge della domanda e dell’offerta fa sì che le retribuzioni di mercato siano di gran lunga superiori a quelle previste dal contratto, è bene tenerne conto.

I “minimi” sono aggiornati con cadenza annuale da un meccanismo di adeguamento che è basato su appositi indici ISTAT ed approvato da un’apposita commissione paritaria prevista dal contratto e composta da sindacalisti e da rappresentanti dei datori di lavoro.

Ecco i “minimi” sindacali validi, rispettivamente da ottobre 2020 e da gennaio 2021.

La tabella indica il costo per badanti conviventi e a ore, in base all’inquadramento. I minimi retributivi sono al lordo dei contributi.

*(per D e D Super, bisogna aggiungere € 171,04 a titolo di indennità)
** Assistenza a persone non autosufficienti con prestazioni limitate alla copertura dei giorni di riposo dei lavoratori titolari (valori orari).

Il contratto nazionale di lavoro prevede che a ciascun lavoratore, per ogni biennio di servizio presso lo stesso datore, e per un massimo di sette bienni, spetti un aumento del 4% sulla retribuzione minima contrattuale.

Nel calcolo della retribuzione di un collaboratore domestico,
quindi, vanno conteggiati anche eventuali scatti d’anzianità maturati.

Indennità di vitto e alloggio

Nel caso in cui la colf viva in famiglia è prevista, accanto allo stipendio, anche un’indennità cosiddetta “per vitto e alloggio”. Per il 2020 questa indennità è riportata nella tabella sottostante.

L’orario di lavoro

Con riferimento alla durata della prestazione lavorativa, la legge n. 339/58 non pone limiti all’orario di lavoro dei domestici; essi, invece, sono previsti dal contratto collettivo.

In particolare, quest’ultimo dispone che la durata normale dell’orario di lavoro è quella concordata tra le parti, ma con un massimo di:

  • 10 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 54 ore settimanali, per i lavoratori conviventi;
  • 8 ore giornaliere non consecutive, per un totale di 40 ore settimanali per i lavoratori non conviventi.

Nell’ambito di dette durate massime, l’orario di lavoro è fissato in concreto dal datore di lavoro nei confronti del personale a servizio intero; nel caso di servizio ridotto, invece, esso è concordato fra le parti.

Il contratto di categoria ha, poi, previsto un orario ridotto fino a 30 ore settimanali per i conviventi inquadrati al livello C, B, e BS (cioè ex seconda categoria non addetti all’assistenza di persone non autosufficienti) nonché i lavoratori studenti fino a 40 anni di età.

Per quanto attiene al riposo giornaliero, il lavoratore convivente ha diritto ad un riposo di almeno 11 ore consecutive nell’arco della stessa giornata e, qualora il suo orario giornaliero non sia interamente collocato tra le ore 6.00 e le ore 14.00, oppure tra le ore 14.00 e le ore 22.00, ad un riposo intermedio non retribuito, normalmente nelle ore pomeridiane, non inferiore alle 2 ore giornaliere di effettivo riposo.

È consentito il recupero consensuale e a regime normale di eventuali ore non lavorate, in ragione di non più di 2 ore giornaliere.

Il lavoro notturno è quello prestato tra le ore 22.00 e le ore 6.00, ed è compensato, se ordinario, con la maggiorazione del 20% della retribuzione globale di fatto oraria; se straordinario, in quanto prestato oltre il normale orario di lavoro, va maggiorata: del 25%, se prestato dalle ore 6.00 alle ore 22.00; del 50%, se prestato dalle ore 22.00 alle ore 6.00; del 60% in una giornata festiva.

La colf che ha un orario di lavoro giornaliero pari o superiore alle 6 ore, ove sia concordata la presenza continuativa sul posto di lavoro, spetta la fruizione del pasto o, se non è possibile, un’indennità pari al suo valore convenzionale.

È considerato lavoro straordinario, con il conseguente diritto ad una retribuzione maggiorata, quello che eccede la durata giornaliera o settimanale massima salvo che il prolungamento sia stato preventivamente concordato per il recupero di ore non lavorate. In questi casi lo straordinario è compensato con la retribuzione globale di fatto oraria maggiorata: del 25%, se prestato dalle ore 6.00 alle ore 22.00; del 50%, se prestato dalle ore 22.00 alle ore 6.00; del 60% in una giornata festiva.

Se la colf non è convivente le ore di lavoro prestate eccedenti le ore 40 e fino alle ore 44 settimanali, purché eseguite nella fascia oraria compresa tra le ore 6.00 e le ore 22.00, sono compensate con la retribuzione globale di fatto oraria maggiorate del 10%.

Il riposo settimanale

Secondo il contratto di lavoro, il riposo settimanale è di 36 ore e deve essere goduto per 24 ore di domenica, mentre le residue 12 ore possono essere godute in qualsiasi altro giorno della settimana, concordato tra le parti.

In tale giorno il lavoratore presterà la propria attività per un numero di ore non superiore alla metà di quelle che costituiscono la durata normale dell’orario di lavoro giornaliero.

Ma cosa accade se, invece, la colf lavora? Se vengono effettuate prestazioni nelle 12 ore di riposo non domenicale, esse saranno retribuite con la retribuzione globale di fatto maggiorata del 40%, a meno che tale riposo non sia goduto in altro giorno della stessa settimana diverso da quello concordato ai sensi del precedente comma.

Il discorso cambia se la prestazione è richiesta di domenica, visto che il riposo settimanale domenicale è irrinunciabile. In questo caso, qualora fossero richieste prestazioni di lavoro per esigenze imprevedibili e che non possano essere altrimenti soddisfatte, sarà concesso un uguale numero di ore di riposo non retribuito nel corso della giornata immediatamente seguente e le ore così lavorate saranno retribuite con la maggiorazione del 60% della retribuzione globale di fatto.

Qualora la colf o la badante sia di una fede religiosa che preveda la solennizzazione in giorno diverso dalla domenica, è possibile accordarsi sulla sostituzione, a tutti gli effetti contrattuali, della domenica con altra giornata.

Le ferie

Al lavoratore domestico spettano le ferie in misura proporzionale, per dodicesimi, ai mesi di servizio prestati (considerando la frazione di mese pari o superiore a 15 giorni come mese intero). La decisione del periodo di ferie spetta al datore di lavoro, il quale deve tenere conto “anche delle esigenze del lavoratore”.

La materia delle ferie del lavoratore domestico genera solitamente non pochi dubbi, in quanto è regolata, in modo alquanto contraddittorio, da tre diverse normative: quella stabilita dall’art. 2243 del Codice Civile, quella prevista dalla L. n. 339/1958 sul rapporto di lavoro domestico e quella, infine, che scaturisce dall’art. 17 del contratto di lavoro delle colf.

Un consiglio per destreggiarsi meglio nel guazzabuglio di norme è quello di applicare il contratto di lavoro della categoria, anche se esso può essere invocato dalla lavoratrice solo se si è aderenti ad una delle associazioni dei datori di lavoro domestico che hanno sottoscritto il contratto.

Il CCNL prevede per le ferie una disciplina complessivamente migliorativa rispetto alla L. n. 339/1958, fissandole in 26 giorni per tutti i lavoratori, senza operare più alcuna distinzione, come avveniva invece in passato, tra chi poteva o meno far valere un’anzianità di servizio superiore ai tre anni.

Le ferie, che sono irrinunciabili, hanno di regola carattere continuativo, ma “possono essere frazionate in non più di due periodi all’anno, purché concordati tra le parti”.

Per giorni di ferie si intendono giorni lavorativi (dal lunedì al sabato e non giorni di calendario).

Durante le ferie spetta al lavoratore la normale retribuzione globale di fatto; per ogni giorno di ferie gli spetta 1/26 della paga mensile di fatto.

Se la colf non presta servizio tutti i giorni della settimana (ad esempio, solo il martedì ed il giovedì) spettano comunque 26 giorni continuativi di ferie, ma la retribuzione è dovuta solo per i giorni di martedì e giovedì che, all’interno dei 26 giorni, sarebbero stati lavorati.

Qualche calcolo in più è necessario quando la “colf” lavora ad ore: in questi casi bisogna risalire sempre allo stipendio mensile, moltiplicando per 52 la retribuzione settimanale e dividendo il tutto per 12.

Nel caso in cui la lavoratrice domestica ha un’anzianità di servizio inferiore ad un anno il periodo di riposo da concedere sarà pari a tanti dodicesimi dei giorni spettanti quanti sono i mesi di servizio effettivo. Così, ad esempio, se è stata assunto a marzo e va in ferie dal 1° agosto, la colf avrà diritto solo a 5/12 dei 26 giorni di riposo previsti dal contratto.

Le ferie non possono essere godute durante il periodo di preavviso di licenziamento, nè durante il periodo di malattia o infortunio.

Va, inoltre, ricordato che:

  • il periodo delle ferie va da Giugno a Settembre, compatibilmente con le esigenze del datore di lavoro;
  • il lavoratore straniero può accumulare le ferie nell’arco di 2 anni (52 giorni complessivi), come confermato anche dal Ccnl 2020, art. 7, co. 8;
  • le ferie vanno pagate al lavoratore al momento del godimento delle stesse;
  • al lavoratore che vive in famiglia (o che comunque fruisca di vitto e alloggio) è dovuta anche l’indennità giornaliera sostitutiva di vitto e alloggio, ove non usufruisca durante tale periodo di dette corresponsioni.

Se per caso durante le ferie la colf o la badante, pur senza lavorare, continuano a vivere in famiglia, è del tutto evidente che avranno diritto alle prestazioni in natura e non a quelle in moneta.

La tredicesima

Come tutti i lavoratori dipendenti ed i pensionati anche Colf e badanti hanno diritto alla tredicesima senza alcuna distinzione tra quelle che lavorano ad orario pieno presso un’unica famiglia e quelle che prestano la loro attività ad ore.

Le regole per il pagamento alla colf della tredicesima sono contenute nella L. n. 940/1953 e nell’art. 37 del Ccnl, che prevedono che alla collaboratrice domestica, indipendentemente dall’entità della prestazione lavorativa (giornaliera o settimanale), spetti una gratifica natalizia, pari a una mensilità, da corrispondersi entro il mese di dicembre.

Il contratto, poi, precisa che deve considerarsi retribuzione non solo la parte in denaro ma anche quella corrisposta in natura come l’indennità di vitto e di alloggio.

Se la colf viene retribuita con uno stipendio mensile, basterà erogare a dicembre una doppia mensilità, metà a titolo di stipendio corrente e l’altra a titolo di gratifica natalizia. La tredicesima, in questo caso, corrisponde all’importo dello stipendio dell’ultimo mese dell’anno.

Esempio: una badante percepisce una paga mensile di 900 euro, ed una indennità di vitto ed alloggio di 150 euro. La stessa è stata assunta il 1° Settembre. In tal caso la tredicesima sarà data dal seguente calcolo:

900 + 150 x (4/12)

Tredicesima = 350,00 euro

Se la paga è settimanale o oraria le cose sono un po’ più complicate: in questo caso l’importo della gratifica si ricava moltiplicando la retribuzione settimanale per le 52 settimane dell’anno e dividendo il risultato per 12; se invece la domestica è retribuita a ore è necessario anzitutto stabilire il salario settimanale, che si ottiene moltiplicando la paga oraria dell’ultimo periodo per il numero delle ore di attività settimanale. Una volta ricavato quest’importo lo si moltiplica per 52 e si divide il risultato per 12.

Esempio: una badante è stata assunta per 10 ore settimanali. La paga oraria è di 12 euro, ed è stata assunta il 1° Gennaio. Il calcolo della tredicesima mensilità è il seguente:

12 euro x 10 ore settimanali = 120 euro

paga annua = 120 euro x 52 settimane = 6.240,00 euro

Tredicesima = 6.240,00 / 12 mesi

Tredicesima = 520,00 euro

Se la colf lavora con orari diversificati, per determinare l’ammontare della tredicesima sarà necessario sommare tutte le retribuzioni corrisposte e dividerle per i mesi di lavoro, al fine di ricavare una specie di salario medio mensile.

Facciamo, ad esempio, il caso in cui la colf abbia prestato per alcuni mesi il proprio lavoro per 30 ore alla settimana e in altri periodi dell’anno abbia ridotto, o addirittura annullato, la propria prestazione di lavoro.

In questa ipotesi bisogna stabilire, carta e penna alla mano, la retribuzione media mensile: per far ciò occorre sommare gli stipendi corrisposti ogni mese (non dimenticando di prendere in considerazione anche il valore convenzionale del vitto e dell’alloggio) e dividendo il tutto per 12.

Il risultato che vien fuori sarà la base di calcolo per determinare l’importo della gratifica di fine d’anno.

Se la colf è stata assunta in corso d’anno, la tredicesima è pari a una mensilità intera solo nel caso in cui la domestica abbia prestato attività lavorativa per l’intera durata dell’anno.

Quando, invece, la colf è stata assunta dopo il 15 gennaio 2020 l’importo della tredicesima sarà pari a tanti dodicesimi quanti sono i mesi di lavoro prestati nel 2020, tenendo presente che l’attività lavorativa superiore a 15 giorni vale un intero mese. Così ad esempio alla colf assunta il 20 giugno 2020 spetterà una gratifica pari a 6 dodicesimi e non a 7.

Sulle somme erogate dal datore di lavoro a titolo di tredicesima non devono essere pagati contributi aggiuntivi all’Inps poiché nei contributi previdenziali versati trimestralmente dal datore di lavoro sono già compresi i ratei di tredicesima.
Il calcolo dei contributi, infatti, si basa sulla retribuzione oraria effettiva corrisposta al lavoratore domestico comprensiva dell’indennità di vitto e alloggio (se dovuta) e del rateo di tredicesima.

Le festività infrasettimanali

Sui riposi dei lavoratori domestici, determinati da festività nazionali che cadono nel corso della settimana, si sono da sempre scontrate due opposte tendenze: da un lato l’atteggiamento del datore di lavoro che ignora (o, meglio, spesso finge di ignorare) i suoi doveri e dall’altro quello della lavoratrice domestica che rivendica, a giusta ragione, il pagamento delle sue spettanze.

Le norme di comportamento per i datori di lavoro domestico su questo argomento sono ampiamente trattate dal contratto nazionale di categoria.

Ecco, allora, quello che stabiliscono le norme su questo argomento. Cominciamo dall’aspetto più semplice che è quello di individuare quali sono le festività nazionali da retribuire con paga doppia o con il riposo.

Anche per le “colf” vale il calendario civile e, quindi, sono considerate festive le giornate del 1° gennaio, del 6 gennaio, il Lunedì di Pasqua, il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno, il 15 agosto, il 1° novembre, l’8 dicembre, il giorno di Natale, il 26 dicembre e, da ultimo, il giorno del Santo Patrono.

Le festività sono in tutto 12 e in queste occasioni la colf ha diritto a riposare e ad ottenere per intero la retribuzione a cui avrebbe avuto diritto se avesse lavorato.

Ma cosa accade se, nonostante il dì di festa, la colf rinuncia spontaneamente al riposo o viene chiamata al lavoro dal padrone di casa per improvvise esigenze familiari? In questi casi alla lavoratrice spetta, oltre alla normale retribuzione di fatto giornaliera, anche il pagamento delle ore lavorate con la maggiorazione dovuta per il lavoro festivo.

Le cose si complicano se la festività nazionale cade di domenica. In questa ipotesi la colf ha diritto al recupero della festività in un’altra giornata o, in alternativa, al pagamento di un compenso pari ad un ventiseiesimo dello stipendio corrisposto ogni mese.

Nel computo dello stipendio va inoltre conteggiato, se la colf vive in famiglia, anche la quota di salario convenzionale che spetta per l’indennità di vitto e alloggio.

Le regole che abbiamo appena illustrato non valgono solo quando la colf è a servizio intero, ma si applicano anche quando la colf lavora ad ore. In questi casi, le festività nazionali e quelle infrasettimanali devono essere retribuite in ragione di un ventiseiesimo della retribuzione corrisposta mensilmente ovvero ad un sesto della paga settimanale.

I permessi retribuiti

Il contratto di categoria prevede che i lavoratori domestici hanno diritto a permessi individuali retribuiti per l’effettuazione di visite mediche documentate, per le incombenze legate al rinnovo del permesso di soggiorno e per le pratiche di ricongiungimento familiare, il cui svolgimento coincide anche parzialmente con l’orario di lavoro.

I permessi spettano:

  • nella misura di 16 ore annue per i lavoratori conviventi con orario di almeno 30 ore settimanali,
  • nella misura di 12 ore annue per i lavoratori non conviventi con orario di almeno 30 ore settimanali.
  • Per i lavoratori non conviventi con orario settimanale inferiore a 30 ore, le 12 ore sono proporzionate in ragione dell’orario di lavoro prestato.

Il lavoratore colpito da comprovata disgrazia a familiari conviventi o parenti entro il secondo ha diritto a un permesso retribuito pari a 3 giorni lavorativi.

In caso di nascita di un figlio, al lavoratore padre spettano le giornate di permesso retribuito e di congedo facoltativo, nella misura prevista dalla normativa vigente.

Le colf possono, inoltre, fruire di permessi non retribuiti su accordo tra le parti.

E’, poi, possibile, per i lavoratori a tempo pieno e indeterminato, con anzianità di servizio presso il datore di lavoro di almeno 6 mesi, usufruire di un monte ore annuo di 40 ore di permesso retribuito per la frequenza di corsi di formazione professionale specifici per collaboratori o assistenti familiari.

Nel caso di episodi collegati alla cosiddetta “violenza di genere” la lavoratrice domestica ha il diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi.

La “violenza di genere”, secondo le norme dell’art. 24 del D.lgs. 80/2015, deve essere debitamente certificata dai servizi sociali del Comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio.

Durante il periodo di congedo, che è computato ai fini dell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto, la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa.

L’indennità è corrisposta direttamente dall’Inps, a seguito di domanda presentata all’Istituto dall’avente diritto, secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità.

Se si sposa, poi, al lavoratore spetta un congedo retribuito di 15 giorni di calendario. Il lavoratore potrà scegliere di fruire del congedo matrimoniale anche non in coincidenza con la data del matrimonio, purché entro il termine di un anno dalla stessa e sempreché il matrimonio sia contratto in costanza dello stesso rapporto di lavoro.

Il preavviso

La cessazione del rapporto di lavoro domestico può avvenire per dimissioni del lavoratore o per licenziamento. In ambedue le ipotesi le parti devono, però, osservare un periodo minimo di preavviso, ovvero chi decide la cessazione è tenuto a dare all’altra parte un’apposita comunicazione in anticipo.

— Per i rapporti non inferiori a 25 ore settimanali:

  • fino a 5 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro: il preavviso è di 15 giorni di calendario;
  • oltre i 5 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro: il preavviso è di 30 giorni di calendario.

I suddetti termini saranno ridotti del 50% nel caso di dimissioni da parte del lavoratore.

— Per i rapporti inferiori alle 25 ore settimanali:

  • fino a 2 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro: il preavviso è di 8 giorni di calendario;
  • oltre i 2 anni di anzianità presso lo stesso datore di lavoro: il pravviso è di 15 giorni di calendario.

In caso di mancato o insufficiente preavviso, è dovuta dalla parte recedente un’indennità pari alla retribuzione corrispondente al periodo di preavviso non concesso.

Non c’è alcun obbligo di pagare il preavviso se il licenziamento avviene durante il periodo di prova ma occorrerà, comunque, corrispondere al lavoratore la retribuzione e le eventuali competenze accessorie corrispondenti al lavoro prestato.

In ogni caso, comunque, il preavviso non va rispettato se le dimissioni o il licenziamento avvengono per giusta causa.

In caso di morte del datore di lavoro, il rapporto può essere risolto con il rispetto dei termini di preavviso appena indicati e i familiari coabitanti, risultanti dallo stato di famiglia, sono obbligati in solido per i crediti di lavoro maturati fino al momento del decesso.

La liquidazione del lavoratore domestico

Sia per le dimissioni che per il licenziamento, alla colf spetta la liquidazione o, meglio, il trattamento di fine rapporto.

Per i periodi di servizio dal 1990 in poi, esso si determina, anno per anno, sommando tutte le retribuzioni corrisposte in ciascun mese (tredicesima compresa) e dividendo il risultato per 13,5. Gli importi così ottenuti vanno — prima di sommarli tra di loro — rivalutati, ad eccezione di quello relativo all’anno in corso, dell’1,5% annuo, più il 75% dell’indice Istat del costo della vita.

Per il personale già in servizio prima del 1990 si applicano norme speciali alquanto complicate.

Il TFR deve essere pagato soltanto a fine rapporto o può essere pagato un po’ per volta, anno per anno? La legge consente che il TFR venga pagato ogni anno a condizione che la colf sia d’accordo; se invece la lavoratrice non vuole, il datore di lavoro non può anticipare il momento del pagamento.

Analogamente, se la lavoratrice chiede il pagamento anticipato, occorre che il datore di lavoro sia d’accordo.

Altrimenti il TFR rimane bloccato e la lavoratrice può ottenerlo solo dopo otto anni di servizio: in questo caso infatti la legge concede un anticipo pari al 70% di quanto già maturato.

L’assicurazione per colf e badanti è obbligatoria

Tutte i collaboratori domestici hanno l’obbligo di iscrizione alla Cassacolf.

Cas.sa.Colf è un organismo paritetico, composto per il 50% da FIDALDO e DOMINA e per l’altro 50% da Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs e Federcolf, ed ha lo scopo di fornire prestazioni e servizi a favore dei lavoratori e datori di lavoro, comprensivi di trattamenti assistenziali sanitari e assicurativi, integrativi e aggiuntivi delle prestazioni pubbliche.

Tutte le collaboratrici domestiche devono obbligatoriamente pagare un’assicurazione utile a risarcire le donne di servizio italiane nel malaugurato caso in cui dovessero avere un infortunio sul lavoro, un periodo di malattia, un ricovero ospedaliero o un parto. L’obbligo all’iscrizione a Cassacolf è previsto dalla legge e da tutti i CCNL Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro domestico.

Tuttavia per le statistiche il settore di attività dove è più frequente l’evasione contributiva è quello del lavoro domestico. L’ “eccessiva onerosità dei versamenti INPS”, la difficoltà di “beccare” in flagranza il datore di lavoro inadempiente e, talvolta, anche, la complicità della stessa “colf” sono, infatti, un’ottima scusante per evitare il pagamento dei contributi per la pensione e per la malattia.

Questo facile e illegittimo “risparmio” può, però, costare assai caro: un incidente accaduto alla lavoratrice domestica tra le mura di casa, una segnalazione fatta all’INPS dal vicino invidioso e, magari, anche la denuncia di una colf che ci aveva invece garantito di non essere interessata al versamento dei contributi, possono costarci una somma assai rilevante in termini di sanzioni e di interessi per il mancato versamento.

Chi si avvale del lavoro di una colf o di una baby-sitter deve effettuare il versamento all’INPS dei contributi previdenziali.

Non ha assolutamente rilievo, ai fini dell’obbligo contributivo, la circostanza che la lavoratrice sia già pensionata o che presti attività per solo poche ore di lavoro alla settimana: anche per una sola ora di lavoro vanno pagati i contributi.

L’obbligo sussiste anche se la colf è già assicurata presso un altro datore di lavoro o per un’altra attività.

I versamenti, poi, vanno fatti anche se la colf è già pensionata o è di nazionalità estera.

Il nuovo CCNL ha raddoppiato i contributi alla Cassa colf, passando da 0,03 euro a 0,06 euro per ogni ora di lavoro, di cui 0,04 euro sono a carico del datore di lavoro, mentre 0,02 euro sono a carico del lavoratore.

I versamenti si effettuano trimestralmente insieme al pagamento dei contributi INPS. Infatti l’Istituto per la Previdenza serve solo da tramite, da agente di riscossione dei contributi Cassacolf.

Il calcolo del contributo è effettuato automaticamente attraverso la procedura online presente nel sito Inps (https://bit.ly/2IzvxZP).

Per calcolare il contributo della Cassa colf, invece, va manualmente inserito all’interno del bollettino col codice F2.

Il pagamento può essere effettuato dal primo giorno del trimestre successivo a quello di competenza tramite:

  • il sito dell’Inps;
  • un qualsiasi sportello bancario o postale;
  • internet banking.

Nel caso in cui la collaboratrice domestica avesse bisogno della Cassacolf, avrà diritto ad ricevere del denaro solo se avrà raggiunto almeno € 25,00 di versamenti, quindi un totale di 834 ore lavorative. In altre parole bisogna lavorare almeno 206 giorni a 4 ore al giorno o 103 giorni a 8 ore al giorno. E’ comunque possibile versare quote integrative ai 0,06 euro per raggiungere la soglia minima di € 25,00.

La malattia del lavoratore domestico

Se la colf si assenta dal lavoro per malattia, l’INPS non le paga alcuna indennità. Infatti, il contributo versato all’INPS assicura le prestazioni sanitarie e farmaceutiche, ma non il diritto all’indennità di malattia, a differenza di quanto accade per la generalità degli altri lavoratori.

Il lavoratore domestico ammalato è obbligato a comunicare al datore di lavoro domestico l’assenza “entro l’orario di inizio” del lavoro. Poi, entro il giorno successivo, deve farsi rilasciare dal medico curante il certificato medico di diagnosi, che va presentato al datore di lavoro entro i due giorni successivi.

Ovviamente se il lavoratore è convivente e ammalato in casa del datore di lavoro, è possibile evitare la presentazione del certificato.

In caso di malattia, al lavoratore, convivente o non convivente, spetta la conservazione del posto per i seguenti periodi:

  • per anzianità fino a 6 mesi, superato il periodo di prova, 10 giorni di calendario;
  • per anzianità da più di 6 mesi a 2 anni, 45 giorni di calendario;
  • per anzianità oltre i 2 anni, 180 giorni di calendario.

Questi periodi saranno aumentati del 50% in caso di malattia oncologica, documentata dalla competente ASL.

Per quanto riguarda la retribuzione l’Inps non corrisponde alcuna indennità alla lavoratrice in caso di malattia. È il datore di lavoro che si fa carico del pagamento dei giorni di malattia: il datore di lavoro deve pagare la retribuzione globale di fatto per un massimo di 8 giorni (per anzianità fino a 6 mesi), 10 giorni (per anzianità da più di 6 mesi a 2 anni), 15 giorni (per anzianità oltre i 2 anni) complessivi nell’anno nella seguente misura:

  • fino al 3º giorno consecutivo, il 50% della retribuzione globale di fatto;
  • dal 4º giorno in poi, il 100% della retribuzione globale di fatto.

Il conteggio dei giorni totali massimi e la retribuzione non vanno calcolati conteggiando solo i giorni di effettivo lavoro, ma:

– si contano tutti i giorni del certificato comprese domeniche e non lavorativi;

– si contano come giorni di malattia i giorni negli ultimi 12 mesi ossia tutti i giorni dei certificati e non solo i lavorativi

– vengono retribuiti solo quelli in cui il collaboratore lavora

– ogni inizio di malattia con certificato diverso si contano i primi 3 giorni al 50% e i rimanenti fino al massimo annuale al 100%. Perciò se il primo, il secondo o il terzo giorno di malattia cadono in un giorno lavorativo si paga al 50%, se invece cadono nei giorni successivi al 100%.

Una volta esauriti i giorni pagabili di malattia o infortunio, qualora il lavoratore si trovi ancora impossibilitato a riprendere la propria attività lavorativa, ha facoltà di richiedere al datore di lavoro il godimento delle ferie maturate e non godute. Questo è infatti quanto stabilito dalla Sentenza 14471 del 7 giugno 2013 della Cassazione Civile, sezione Lavoro, secondo la quale il godimento delle ferie andrebbe in questo caso a sospendere il decorrere del periodo di comporto; non vige in questo caso, quindi, incompatibilità assoluta tra malattia/infortunio e ferie in quanto, se da un lato le condizioni psico-fisiche del lavoratore possono essere inidonee al pieno godimento delle ferie, dall’altro la possibile perdita del posto di lavoro renderebbe in ogni caso impossibile l’effettiva fruizione delle stesse. Si tratta pertanto di uno strumento ulteriore conferito al lavoratore per la tutela del proprio posto di lavoro.

In materia di malattia della colf c’è, poi, da segnalare l’esistenza dal 2010 della CAS.SA.COLF ovvero l’assicurazione sanitaria per colf e badanti, prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

I datori di lavoro iscritti alle Associazioni datoriali dei datori di lavoro domestico che hanno sottoscritto il contratto sono tenuti ad iscrivere sé stessi e i propri lavoratori domestici.

Nel caso in cui sia i lavoratori che i datori di lavoro siano iscritti a CAS.SA.COLF, i lavoratori domestici possono beneficiare, in caso di ricovero di durata pari o superiore a 3 giorni in istituti di cura pubblici o privati, di un’indennità giornaliera di € 30,00 per complessivi 20 giorni in un anno e, in caso di convalescenza seguente al ricovero certificata dal medico, della medesima indennità per ulteriori 15 giorni in un anno. Tale indennità non è ammessa per i ricoveri in forma di “day hospital”.

È previsto, inoltre, un rimborso integrale, entro il limite di € 300,00 per persona e per anno civile delle spese sostenute dai lavoratori per tickets sanitari relativi a prestazioni “di alta specializzazione”, effettuate in strutture del Servizio Sanitario Nazionale o da esso accreditate.

Infortunio del lavoratore domestico

Quando un collaboratore domestico subisce un incidente durante l’orario di lavoro o nel tragitto casa/lavoro-lavoro/casa si tratta di infortunio colf e badanti.

  • Il collaboratore dovrebbe farsi certificare l’infortunio al pronto soccorso il prima possibile e dovrebbe specificare il momento e il luogo durante il quale è avvenuto l’incidente e le modalità con cui è avvenuto. In tal modo il medico del pronto soccorso può capire se si tratta di infortunio (presso luogo di lavoro o nel tragitto da e per il lavoro) oppure di malattia (incidente avvenuto in altre occasioni) e nel caso aprire una pratica INAIL. Il certificato rilasciato dal pronto soccorso avrà così indicazione “INAIL SI”.
  • Il lavoratore ha l’obbligo di dare immediata notizia dell’infortunio al datore di lavoro. Non ottemperando a tale obbligo e nel caso il datore non abbia provveduto alla denuncia nei termini di legge (48 ore), l’infortunato perde, infatti il diritto all’indennità temporanea che l’INAIL paga per i giorni antecedenti alla data della denuncia.
  • Il datore deve fare denuncia di infortunio all’Inail utilizzando il modulo cartaceo “4 bis RA.” e spedirlo mediante raccomandata A/R o posta elettronica certificata (PEC), allegando il certificato di infortunio. Il modulo si può scaricare al link: https://www.inail.it/cs/internet/atti-e-documenti/moduli-e-modelli/prestazioni/denuncia-infortunio.html
  • Si consiglia, se non si ha il certificato di infortunio, di inviare comunque la denuncia e poi di inviare successivamente il certificato.

La denuncia deve rispettare alcune semplici ma tassative regole. Vediamo come bisogna comportarsi a seconda del tipo di infortunio:

  1. Se l’infortunio non é guaribile entro 3 giorni, il datore di lavoro è obbligato ad inoltrare la denuncia di infortunio all’Inail entro 2 giorni dalla ricezione del certificato medico del pronto soccorso.
  2. Se l’infortunio è guaribile entro i 3 giorni successivi a quello in cui è avvenuto l’incidente, il datore non deve fare alcuna denuncia: infatti per i primi 3 giorni l’INAIL non paga alcuna indennità. Se la prognosi si prolungasse, con un nuovo certificato oltre il 3 giorno escluso quello dell’evento, il datore di lavoro deve inviare la denuncia entro due giorni dalla ricezione del nuovo certificato.
  3. Con la circolare INAIL n. 42 del 12 ottobre 2017 é stato stabilito l’obbligo, per tutti i datori, di comunicare l’infortunio anche nel caso di prognosi inferiore ai 3 giorni ma da tale onere è stato espressamente escluso il datore di lavoro domestico. L’esclusione dall’obbligo di comunicazione è stata evidenziata dalle associazioni dei datori di lavoro domestico in quanto nel Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, (decreto legislativo 81/08), all’art. 2 co. 1 lettera a, si legge: “Lavoratore: persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.” Quindi, nel caso di infortunio di colf, badanti o babysitter che comportino un’assenza dal lavoro da 1 a 3 giorni, escluso quello dell’evento, il datore di lavoro non è tenuto a fare la denuncia per comunicare l’evento all’INAIL. l’Inail, con Circolare n. 10 del 21/03/2016, fornisce chiarimenti sulle modifiche apportate con l’art. 21 D.Lgs. 151/2015 al TU INAIL, stabilendo che viene meno in capo al datore di lavoro, l’obbligo di denunciare con una comunicazione distinta l’infortunio all’Autorità di Pubblica Sicurezza. Sarà di competenza dell’Inail stesso comunicare alla Pubblica Sicurezza, l’infortunio avvenuto solamente nei casi in cui questo sia mortale o con prognosi superiore a 30 giorni.
  4. In caso di infortunio mortale o con pericolo di morte, il datore deve segnalare l’evento entro 24 ore e con qualunque mezzo che consenta di comprovarne l’invio, fermo restando comunque l’obbligo di inoltro della denuncia nei termini e con le modalità di legge (art. 53, comma 1 e 2, Testo unico 1124/1965).
  5. Se, poi, l’inabilità, inizialmente preventivata per una durata inferiore ai quattro giorni, si prolunga, il termine per la denuncia decorre dal quarto giorno

L’indennità per infortunio per colf e badanti

In caso di infortunio o malattia professionale, il datore di lavoro è tenuto a retribuire il lavoratore domestico al 100% per i primi 3 giorni, dopodiché dal 4° giorno fino al termine del periodo di infortunio la retribuzione è interamente a carico dell’INAIL, compresi i giorni festivi, e sarà pari al:

  • 60% della retribuzione convenzionale per i primi 90 giorni di calendario;
  • 75% della retribuzione convenzionale dal 91° giorno di calendario in poi.

Al personale domestico che ne usufruisca normalmente per contratto, spetta la quota sostitutiva convenzionale di vitto e alloggio ma solo nel caso in cui non sia degente in ospedale o presso il domicilio del datore di lavoro.

L’indennità di maternità per colf e badanti

Le colf e le badanti, in quanto lavoratrici dipendenti, rientrano nella disciplina generale a tutela della maternità.

Dall’inizio della gestazione fino al momento della astensione obbligatoria del lavoro la colf non può essere licenziata se non per mancanze gravissime.

Come per tutte le altre mamme, sussiste il divieto per il datore di lavoro di impiegare la gestante in qualsiasi attività lavorativa nei 2 mesi precedenti la data presunta del parto, e nei 3 successivi.

Durante i 5 mesi di assenza obbligatoria dal lavoro vi è una sospensione del rapporto di lavoro che esonera il datore di lavoro dal pagamento della retribuzione e della contribuzione, le quali vengono sostituite dalla indennità di maternità a carico dell’INPS: l’importo dell’indennità percepito dalla gestante corrisponde all’80%, ma non della retribuzione effettivamente percepita dalla lavoratrice bensì di una retribuzione convenzionale, di importo minore, che l’Inps associa alle fasce di retribuzione effettiva previste per il calcolo dei contributi.

Attenzione, però, ad un’importante condizione: contrariamente a ciò che avviene per le altre lavoratrici subordinate (per le quali l’indennità di maternità è corrisposta senza necessità di particolari requisiti contributivi), la colf può riscuotere l’indennità di maternità Inps solo se: 

  • nei 24 mesi precedenti il periodo di assenza obbligatoria ha versato 52 contributi settimanali, anche se in settori diversi da quello del lavoro domestico; 
  • in alternativa, nei 12 mesi anteriori all’inizio dell’assenza obbligatoria ha versato almeno 26 contributi settimanali, anche in settori diversi da quello del lavoro domestico.

In mancanza di tali requisiti, la lavoratrice domestica e la famiglia si trovano nella necessità di sospendere l’attività lavorativa nei mesi precedenti e immediatamente successivi al parto, senza che l’INPS riconosca alcuna prestazione di sostegno del reddito.

Per porre rimedio a questa mancanza, è possibile ottenere dall’Istituto l’erogazione di altre prestazioni di maternità, sempre che sussistano le diverse condizioni previste dalla legge: si tratta dell’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui a carico dello Stato e, in alternativa, dell’assegno di maternità di base a carico dei Comuni.

Le lavoratrici che hanno diritto al trattamento di maternità, ma in misura minore rispetto all’assegno dello Stato o dei Comuni, possono avanzare richiesta di queste prestazioni per la concessione della quota differenziale.

Paga oraria, retribuzione e costo dei contributi

Il datore di lavoro deve versare i contributi del lavoratore domestico all’INPS ogni trimestre, sulla base della retribuzione oraria concordata tra le parti e al numero delle ore lavorate, potendo così usufruire di agevolazioni fiscali.

Una parte dei contributi è a carico del lavoratore e il datore li potrà trattenere dallo stipendio che versa al dipendente.

Dopo l’iscrizione di un lavoratore domestico, l’INPS apre una posizione assicurativa e invia al datore di lavoro gli Avvisi di pagamento pagoPA per il versamento dei contributi dovuti, in base alla paga oraria effettiva.

La paga oraria è composta da:

  • la retribuzione oraria concordata tra le parti;
  • il valore convenzionale del vitto e alloggio, ripartito per ore;
  • la tredicesima mensilità (gratifica natalizia), ripartita per ore.

Per avere un’idea dei costi, nel 2020 i contributi per ogni ora di lavoro di un contratto a tempo indeterminato sono i seguenti (i contributi a carico del lavoratore sono tra parentesi):

  • Stipendio fino a €8,10 all’ora: contributi orari €1,53 (€0,36 quota a carico del lavoratore)
  • Stipendio oltre €8,10 e fino a €9,86 all’ora: contributi orari €1,73 (€0,41 quota a carico del lavoratore)
  • Stipendio oltre €9,86 all’ora: contributi orari € 2,11 (€0,49 quota a carico del lavoratore)
  • Orario di lavoro superiore o uguale a 25 ore settimanali: contributi orari €1,12 (€0,26 quota a carico del lavoratore)

Ad esempio, se il datore paga il lavoratore 9,86€ all’ora o più (la soglia massima), dovrà versare 2,11€ di contributi per ogni ora lavorata e potrà trattenere dallo stipendio mensile del lavoratore 0,49€ all’ora. I contributi a carico del datore sono quindi 2,11 € — 0,49€ = 1,62 € all’ora.

In caso di mancato versamento dei contributi, il datore di lavoro rischia sanzioni e non sarà tutelato in caso di infortuni o danni. Inoltre, il lavoratore potrà fare causa al datore ed esigere il pagamento di tutti i contributi non versati.

Le agevolazioni fiscali per il datore di lavoro che versa regolarmente i contributi

Il datore di lavoro che versa regolarmente i contributi all’INPS per colf o assistenti familiari può usufruire di agevolazioni fiscali.

I contributi obbligatori versati per le colf e per gli addetti all’assistenza possono essere dedotti dal proprio reddito per un importo massimo di 1.549,36 euro l’anno e il datore di lavoro deve conservare le ricevute dei bollettini INPS. L’importo massimo deducibile è fisso e non varia in base ai redditi dichiarati.

Per gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, il datore di lavoro può detrarre dall’imposta lorda il 19% delle spese sostenute, per un importo massimo di 2.100 euro l’anno. La detrazione spetta al soggetto non autosufficiente o ai familiari che affrontano la spesa.

Per usufruire dell’agevolazione, sono necessari il certificato medico che attesti la condizione di non autosufficienza, da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria, e le ricevute delle retribuzioni erogate, firmate dall’assistente familiare.

Si può usufruire della detrazione se il reddito complessivo è inferiore a 40.000 euro e la deduzione fiscale per la colf si può sommare alla detrazione prevista per l’assistente familiare, e viceversa.

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